Alcune delle caratteristiche che distinguono il Judo dallo sport sono una ritualità ed una serie di regole di comportamento, reigi 礼儀, che costituiscono parte integrante dell’addestramento. A partire dalla vestizione, proseguendo col saluto appena saliti sul tatami sino al saluto finale, ciascun atto ha un significato che deve essere conosciuto e compreso per essere compiuto in maniera consapevole e partecipata e non superficialmente scimmiottato.
- Un “gergo” indispensabile
- Il DOJO 道場 (luogo per la ricerca della Via)
- Il tatami 畳
- Il Judogi 柔道着 (abito per la pratica del Judo)
- Gerarchia judoistica, kyu 級 e dan 段
- Rei 礼 (saluto)
Un “gergo” indispensabile
Per poter giungere ad una piena conoscenza del Judo, bisogna innanzitutto conoscerne il “gergo”.
È consuetudine, in moltissime discipline, servirsi delle espressioni del paese di origine per diverse ragioni. La prima, e più importante, riguarda la difficoltà di alcuni termini di essere tradotti nelle diverse lingue. Una traduzione letteralmente esatta, in determinate situazione può rivelarsi concettualmente scorretta (basti pensare alla filosofia). Nella parola Judo, per esempio, sono presenti due termini “ju” e “do”, la semplice traduzione letterale ,dal giapponese, di quest’ultimo (“do”) sarebbe, in italiano, via, intesa come percorso morale; una interpretazione superficiale e concettualmente limitata. Infatti se lo stesso ideogramma del “do” lo volessimo tradurre dal cinese, da cui ha origine, in italiano, ci troveremmo nell’impossibilità di farlo, in quanto il suo significato è Tao, termine oramai mondialmente conosciuto e letteralmente intraducibile.
Un’altra importante ragione per cui nel Judo è fondamentale mantenere alcuni termini base nella lingua d’origine, sta nel fatto di poter comunicare meglio con atleti di differenti nazionalità, per scambiare opinioni e consigli tecnici.
In fine, a mio parere, mantenere delle espressioni del paese d’origine, è una forma di rispetto per chi ha tanto studiato, e faticato per regalarci questa bellissima invenzione che è il Judo.
Per tutti i chiarimenti sui vocaboli giapponesi più usati nel Judo, consultate in nostro glossario del Judo.
Il DOJO 道場 (luogo per la ricerca della Via)
Dojo è un termine usato nel Buddismo per indicare il locale destinato al raccoglimento e alla meditazione spirituale. In giapponese significa “luogo per la ricerca della via” o “luogo ove praticare lungo la via”; in sanscrito prende il nome di Badhi Manda, che significa “luogo di saggezza, o di salvezza”. In oriente è usato anche per denominare il locale in cui si praticano determinate discipline volendo significare che nel locale deve regnare un’atmosfera attenta e concentrata come si addice ad un luogo di “culto”.
Si tratta quindi di un luogo dove si ricerca un processo di arricchimento spirituale, morale, intellettivo e fisico, attraverso la pratica di una disciplina che può essere marziale o, come in altri casi, spirituale.
Anche in occidente la parola dojo è utilizzata per denominare il locale in cui si praticano le arti marziali, purtroppo, troppo spesso, senza attribuirgli quel significato di profondo rispetto che dovrebbe avere, ma solo alla stregua di club o palestra.
“Quando si visita un dojo per la prima volta, generalmente si rimane colpiti dalla sua pulizia e dall’atmosfera solenne che lo pervade. Dovremmo ricordarci che la parola “dōjō” deriva da un termine buddhista che fa riferimento al “luogo dell’illuminazione”. Come un monastero, il dojo è un luogo sacro visitato dalla persone che desiderano perfezionare il loro corpo e la loro mente.
La pratica del randori e dei kata viene eseguita nel dojo, che è anche il luogo in cui si disputano le gare di combattimento.”
Jigoro Kano
Struttura del dojo tradizionale
Il dojo ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:
- Nord: Kamiza 上座 (posto d’onore), che rappresenta la saggezza, è riservato al sensei 先生 (insegnante) titolare del dōjō alle spalle del quale è apposta l’immagine di Jigorō Kanō Shihan.
- Est: Jōseki 上席 (posto degli alti gradi), che rappresenta la virtù, è riservato ai sempai 下席 (compagno maggiore), agli ospiti illustri, o in generale agli yūdansha 有段者 (portatori di dan).
- Sud: Shimoza 下座 (posto inferiore), che rappresenta l’apprendimento, è riservato ai mudansha 無段者 (non portatori di dan).
- Ovest: Shimoseki 下席 (posto dei bassi gradi), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto, ma all’occorrenza è occupato dai 6ⁱ kyu.
L’ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra. Il capofila di shimoza, usualmente il più esperto tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del reihō 礼法 (etichetta).
Accesso al dojo e modelli di comportamento
L’accesso al dojo è riservato a chi vuoi praticare, quando è già vestito con l’apposito abito. Spettatori che fossero sinceramente interessati ad assistere alle lezioni potranno farlo, in rispettoso silenzio badando di non essere di alcun disturbo.
Nel dojo occorre essere sempre sinceri e gioiosi, abbandonando ogni considerazione di fama e di ricchezza, dimenticando i pregiudizi di razza, sesso e stato sociale. L’ardore della pratica deve unirsi ad un’atmosfera di ricerca interiore. Sono richieste tre qualità: una buona educazione, un grande amore per l’arte, fiducia nel maestro.
Il Maestro Ichiro Abe ha indicato alcune norme basilari sul comportamento da tenersi in un Dojo (Dojokun). Le regole tradizionali, l’atteggiamento mentale e la cura del corpo che vengono suggeriti non sono mortificazioni imposte a chi pratica, ma costituiscono un costume che favorisce il lavoro collettivo e il progresso individuale.
Tener sempre presente che il Dojo, oltre che luogo di pratica, è scuola morale e culturale.
Entrare nell’area di pratica del Dojo con il piede sinistro ed uscirne con il destro, e non omettere mai di salutare, sia quando si accede che quanto si lascia l’area di pratica.
Osservare scrupolosamente le regole generali della cortesia e quelle particolari del Judo
Sforzarsi in ogni circostanza di aiutare i propri compagni di pratica evitando di essere per essi causa di imbarazzo o di fastidio.
Rispettare le cinture di classe superiore ed accettarne i consigli senza obiezioni, dal loro canto le cinture superiori devono aiutare il miglioramento tecnico di coloro che sono meno esperti, con diligenza e cordialità.
Quando non si pratica bisogna mantenere un contegno corretto e non permettersi mai posizioni ed atteggiamenti scomposti anche se si è estremamente affaticati.
Mantenersi silenziosi e, se necessario parlare, sia solo per la pratica jodoistica e a bassa voce.
Non allontanarsi mai dall’area di pratica senza prima averne avuto il permesso dall’insegnante o da chi ne fa le veci.
Curare la pulizia e l’integrità del Judogi ed il suo riassetto che deve essere sempre effettuato ogni volta che è necessario.
Mantenere sempre un’elevata igiene personale.
Le unghie della mani e dei piedi devono essere tagliate molto corte. Bisogna togliersi, durante l’allenamento, catenine, anelli e quanto altro possa procurare danni a se stessi e ai propri compagni di pratica.
Rispettare l’orario dei corsi (salvo particolari autorizzazioni). Non allontanarsi dai Dojo prima della fine della lezione dell’insegnante.
All’inizio e alla fine di ogni lezione, l’insegnante e gli allievi si salutano reciprocamente. I praticanti si dispongono ordinatamente in fila sul bordo del tappeto di fronte all’insegnante. Il Judoka con cintura di grado più elevato si pone alla estremità del lato d’onore della sala, seguito gerarchicamente dagli altri. Tutti devono osservare che il loro Judogi sia in ordine.
Quando si cessa la pratica e quando si frequenta il Dojo senza poter praticare, osservare con attenzione quanto avviene nell’area di pratica, e seguire le spiegazioni in atto, per trarne egualmente proficuo insegnamento.
SE NON VI SENTITE DI SEGUIRE QUESTE REGOLE, NON ENTRATE NEL DOJO: OGNI INSEGNAMENTO SAREBBE INUTILE PER VOI E IL VOSTRO ATTEGGIAMENTO SAREBBE DI DANNO PER GLI ALTRI.
Il tatami 畳
A secondo dell’attività praticata nel Dojo, il pavimento di quest’ultimo deve essere costituito o ricoperto di un materiale appropriato.
Per un judoka, è impossibile esercitarsi su un tavolato: sarebbe ideale per l’attaccante, ma condurrebbe all’ospedale l’attaccato.
Per praticare agevolmente il Judo, e tutte quelle discipline in cui le cadute assumono un ruolo fondamentale, bisogna poter cadere su un suolo abbastanza accogliente. Questo deve essere morbido, elastico, e non deve causare, in caso di caduta, alcun danno all’atleta, ma nello stesso tempo deve essere sufficientemente rigido per non frenare la rapidità degli spostamenti. La soluzione ideale si trova a metà strada, è il tatami.
La parola indica le tipiche stuoie d’uso casalingo che, affiancate l’una all’altra, ricoprono il pavimento in legno d’ogni casa tradizionale giapponese. I tatami classici sono confezionati in paglia di riso, talvolta in canapa intrecciata o lino, resa uniforme e legata con una corda robusta, e sono rivestiti esternamente da una stuoia di paglia o foderati con una tela chiara. I margini sono squadrati con estrema precisione e i due lati più lunghi sono orlati con una fettuccia larga di lino nero o cotone; quelli delle case nobiliari hanno, intessuti nella fettuccia, dei motivi ornamentali in bianco e nero. Storicamente nelle stanze destinate a ricevere gli ospiti venivano posti dei tatami più spessi (age-tatami) su cui venivano invitati a sedere i personaggi importanti. I pittori giapponesi amano rappresentare nobili e generali accovacciati su queste stuoie. Le dimensioni del singolo tatami sono circa 180(190) x 90(95) x 6(3) cm. Queste stuoie, messe estremità accanto ad estremità, creano un’atmosfera intima e pulita. Quando si cammina sul Tatami esso cede leggermente alla pressione del piede nudo; i giapponesi lasciano le scarpe all’ingresso della loro casa, e ogni rumore è attutito dalla loro morbidezza. A primavera durante le prime giornate di sole, vengono tolti e messi davanti casa per arieggiarli, appoggiati a due a due come carte da gioco.
Sul tatami la gente mangia, dorme, studia, ama, vive e muore; essi rappresentano nello stesso tempo il letto, la sedia, la poltrona e a volte anche la tavola.
Notiamo incidentalmente che il tatami viene utilizzato in Giappone come misura di superficie. Si dirà, “la mia camera misura dodici tatami” oppure “abbiamo affittato un appartamento di trentasei tatami”, ecc.
Per quanto riguarda i tatami utilizzati nel Judo, dall’inizio della sua storia ad oggi, si è passati dai tradizionali, pur validi, a tatami più sofisticati espressamente studiati per il Judo, allo scopo di garantire un’eccellente pratica e una maggiore sicurezza degli atleti, non ché una loro superiore durata e migliore pulizia.
Si è passati quindi da tatami con misure tradizionali fatti con paglia di riso triturata, tagliata, pressata e cucita in una fodera di tela di iuta, o meglio ancora di vinile; a tatami moderni studiati esclusivamente per il Judo. I più comuni sono realizzati in gomma compatta a densità calibrata (250 kg/m2), rivestiti in vinile con trama a paglia di riso, fondo antisdrucciolo, dimensioni cm. 200x100x4 o 100x100x4, nei colori verde o rosso (delle volte gialli o blu); oppure sono realizzati in porex, con goffratura a paglia di riso in elementi componibili ad incastro a coda di rondine, dimensioni 100 x 100 x 4 cm, double-face verde/rosso.
Questi tatami vengono disposti gli uni di fianco agli altri e fissati all’esterno da una cornice. L’insieme dovrebbe essere appoggiato su un tavolato fisso, su un tavolato elastico montato sulle molle (il che è preferibile) o sul caucciù. Il vantaggio rappresentato da un tale dispositivo è di rendere la superficie su cui si pratica il più “reale” possibile, ed allo stesso tempo ammortizzare al meglio le cadute, nonostante l’impressione di durezza che si ha all’inizio. Fisiologicamente, la ripartizione dell’onda di shock è più omogenea. Poiché il principiante sarà abituato soltanto a piccole cadute, preferirà probabilmente cadere su un tappeto, che lo riceve come un morbido cuscino. Ma, a mano a mano che avanzerà nella sua iniziazione, le cadute diventeranno più impegnative, difficoltose e pericolose. Allora constaterà, al momento dell’impatto, che le vibrazioni dello shock devono essere rapidamente diffuse su una grande superficie, poiché la loro dispersione attenua lo shock di ritorno. Al contrario, su un tappeto più morbido, l’onda di shock rimane concentrata nel punto d’impatto.
Il judogi 柔道着 o 柔道衣 (abito per la pratica del Judo)
Prendendo spunto dalla vita reale, la pratica del Judo avviene con il corpo coperto da uno speciale abito chiamato, con vocabolo giapponese, judogi o, molto raramente, keikogi. Queste parole significano rispettivamente “abito da Judo” e “abito d’allenamento”.Il judogi è concepito, per il taglio, le cuciture e l’ampiezza, in modo da poter resistere ad una pratica violenta e prolungata. È costituito da un paio di pantaloni in cotone molto ampi e robusti, senza bottoni ne cerniere, ma con un cordone che passa all’interno di un’apposita cucitura lungo la vita, al fine di stringere e reggere gli stessi; da una giacca, sempre in cotone, priva di bottoni od oggetti metallici, tessuta con una stoffa ancor più robusta e spessa di quella dei pantaloni, ulteriormente rinforzata sul collo, spalle e nelle parti suscettibili di strappi; stretta in vita da una cintura in cotone denominata obi 帯, おび, annodata in un modo particolare, che può essere di colori diversi secondo il grado dell’atleta (bianca, gialla, arancione, verde blu, marrone, nera, bianca e rossa).
Ogni judoista è giudicato a prima vista da come indossa il judogi, ne annoda la cintura e lo ripiega dopo averlo utilizzato. Se questi dettagli non sono rispettati, anche se il valore atletico è eccellente, ogni buon Judoka giapponese dubiterà della comprensione dei Judo da parte di chi ne è in difetto.
Sforzarsi dunque di attenersi a queste semplici norme, che sono dettate da ragioni puramente pratiche consigliate dall’esperienza.
Come indossare il judogi
- Indossare i pantaloni avendo cura di infilarli con la parte rinforzata delle ginocchia sul davanti.
- Tirare il laccio posto sui fianchi, stringendo opportunamente i pantaloni in vita, e allacciarlo con un nodo ben saldo, inserendo un’estremità del laccio nel passante posto appositamente sul davanti (alcuni pantaloni presentano due passanti per ambedue le estremita del laccio).
- Indossare normalmente la giacca, con l’accortezza di porre il bordo sinistro sopra il destro sia per gli uomini che per le donne.
- Appoggiare la parte centrale della cintura sotto l’addome.
- Passare le estremità, di lunghezza uguale, attorno al corpo, appena sopra le natiche, incrociarne i capi e ritornare sul davanti.
- Allacciare la cinta con un nodo piatto ben stretto perché non si sciolga nella pratica e impedisca alla giacca di scomporsi facilmente.
Come annodare la cintura obi 帯, おび
- Fare attenzione in ogni passaggio a non torcere (a caramella) la cintura che deve rimanere piatta e aderente al corpo.
- Dividere la cintura a metà per trovarne il centro e posizionarlo al centro della pancia, poco sotto l’ombelico.
- Far girare le due estremità della cintura intorno ai fianchi incrociandole dietro la schiena e riportandone avanti stringendo quanto basta, poi incrociare le estremità della cintura, tenendola serrata ai fianchi, al centro della pancia.
- Far passare, dal basso, l’estremità più esterna della cintura sotto i due giri, tra giudogi e cintura, facendola riuscire dall’alto e tirate le estremità della cintura verso l’esterno per stringerla quanto basta.
- Piegare in avanti l’estremità più alta della cintura e far girare, da sotto, l’estremità della cintura più bassa attorno a quella più alta e stringere il nodo tirando contemporaneamente le estremita della contura verso l’esterno (dx e sx).
Come ripiegare il judogi
- Posare la giacca in piano sistemando all’interno di essa, o sopra, ben distesi i pantaloni.
- Piegare un lato del judogi nel senso della lunghezza per circa 1/3, e ripiegare la manica in dietro in modo che non si sovrapponga all’altra poi eseguire la stessa operazione per l’altro lato.
- Arrotolare (come in figura) o ripiegare in 3 il judogi, e legare al centro con la cintura.
Tradizionalmente il judogi, nasce bianco e questa è la tinta che dovrebbe avere. La motivazione risiede nel simbolo di purezza che questo colore rappresenta, che dovrebbe essere caratteristica d’ogni Judoka. Si dice che il judogi deve essere bianco come il fiore di ciliegio il quale, insieme alla spada, era il simbolo dei samurai e quindi sinonimo di forza, purezza d’animo e coraggio.
Un altro valido motivo per cui il judogi è bianco sta nel fatto che, in caso di ferite accidentali, il colore del sangue è immediatamente messo in risalto, consentendo un tempestivo soccorso.
Purtroppo l’agonismo sportivo ha trascurato questi valori, costringendo gli atleti a combattere nelle gare internazionali uno con un judogi bianco e l’altro blu, con un notevole sdegno del popolo giapponese ed in parte anche nostro. Si deve ammettere però che questa differenza cromatica, rende più facile catturare i movimenti degli atleti in gara o del maestro durante una spiegazione, favorendo un giusto giudizio e un migliore apprendimento.
Gerarchia judoistica, kyu 級 e dan 段
In principio furono ideate 5 classi di allievi kyu 級 e 10 gradi di esperti dan 段. Il principiante veniva considerato non classificato e successivamente passa dalla 5a classe (kyu) alla 1a. Questa divisione avrebbe dovuto servire a suddividere gli allievi secondo un programma gradi/età, ma si è rivelata poco pratica perché i dojo non avevano la struttura per separare i praticanti come in una scuola.
In Europa, il Maestro Mikonosuke Kaiwashi 7° dan “creatore del judo Francese”, per ragioni pedagogiche proprie agli allievi occidentali, ma principalmente per dare un riconoscimento al praticante (molti dicono per guadagnare su ogni passaggio di cintura), creò il sistema delle cinture di colore diverso per ogni kyu (bianca, gialla, arancione, verde, blu e marrone) aumentando i kyu a 6.
In Italia, e non solo, il sistema di graduazione per gli allievi più giovani prevede anche l’attribuzione di “mezze-cinture”, che nonostante siano in antitesi al judo tradizionale, sono state introdotte negli ultimi anni con il pretesto di gratificare l’allievo e portarlo gradualmente all’effettiva capacità intellettiva e tecnica verso il compimento del 14º anno di età. Esistono quindi, tra i vari kyu, le cinture: bianco-gialla, gialla-arancione, arancio-verde, verde-blu e la blu-marrone.